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La vetrina dei segreti

A cura di Elisabetta Insabato, 10 aprile 2017

“Spese di abiti sacri per mio conto proprio…”: i conti di un canonico fiorentino del primo Settecento

Stemma della famiglia dei Conti Bardi di Vernio
Particolare da un albero genealogico, contenuto nel volume intitolato "Instrumenta", sec. XVIII

Il registro è conservato nell’archivio privato Guicciardini, ramo di Ferdinando di Lorenzo.
Fondo Bardi di Vernio, Montespertoli (segnatura Registri O.5)

Il registro di Entrate e uscite di contanti e debitori e creditori tenuto da Domenico de’ Bardi per sé ed i suoi fratelli Luigi e Filippo dal 1708 al 1718 (segnato “A”), restaurato nel corso del 2015, fa parte del nucleo di manoscritti travolti dall’alluvione del 1966 nel palazzo Bardi, poi Guicciardini, dell’omonimo lungarno fiorentino. Si tratta di un libro contabile di entrate ma soprattutto di spese personali e di famiglia tenuto dal canonico fiorentino Domenico, figlio del capitano Antonino di Niccolò de’Bardi, per sé e per i fratelli Luigi e Filippo. Questi appartenevano ad un ramo collaterale e ‘naturale’ della nobile famiglia dei conti Bardi, quello di Orazio di Domenico di Marco vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento (1563-post 1625), i cui membri si erano distinti, da una parte, assumendo cariche pubbliche negli uffici ‘estrinseci’ del granducato di Toscana (nelle podesterie di Barga, Pratovecchio, Montelupo, Pomarance, Portico, ecc., nel vicariato di Anghiari e nei capitanati della Montagna Pistoiese e di Castrocaro) e, dall’altra, percorrendo alcuni gradi della carriera ecclesiastica nella Chiesa locale. Inoltre, a partire da Niccolò di Orazio (1613-1688), nonno ex patre del compilatore del registro, e dal fratello di questi, Domenico (1602-1674), essi fecero parte della magistratura del Consiglio dei Duecento, la cui appartenenza, sebbene all’epoca avesse acquisito un valore ormai onorifico, attesta il ruolo e la collocazione sociale di questo ramo dei Bardi. La linea di Orazio si estingueva nel 1789 con Orazio, figlio di Luigi Bardo (1676-1735), fratello di Domenico, che aveva percorso una brillante carriera militare come governatore di Portoferraio, provveditore generale delle fortezze granducali e sergente maggiore generale delle truppe.

La minuzia con la quale Domenico (1678-1739), a partire dal 1708, non a caso anno successivo alla sua nomina a canonico della cattedrale fiorentina, avvenuta il 13 dicembre 1707, in sostituzione del defunto Antonio Nerli, registra entrate e spese sostenute nell’arco di undici anni, si caratterizza per la ricchezza dei particolari che offrono uno spaccato di vita quasi quotidiana di un canonico fresco di nomina. Innanzitutto egli risulta godere di beni spettanti alla Cappella di San Jacopo nella Chiesa di San Pietro a Monticelli: un podere dato a lavoratore in località Legnaia, porzione di territorio del contado dipendente dal quartiere di Santo Spirito dove è attestato nel Cittadinario fiorentino il ramo dei Bardi al quale apparteneva, e di due case in città, una grande e una piccola, sulla Costa San Giorgio, ripida strada di là d’Arno, date a pigione, per le quali nel corso degli anni sostenne spese di manutenzione.

All’inizio sono registrate le spese che dovette assumersi nella nuova veste di canonico: “spese di vestire per mio conto”, “spese d’abiti sacri” (tra i quali pianete ricamate e gallonate, camici trinati e borse) e spese per abiti dati a “sbiancare”, “argenterie per mio conto e per mio servizio”, come reliquari e ‘smoccolatoje’, “spese di libri per mio studio” (con il ricordo dell’acquisto di una “libreria legale” essendo egli anche giureconsulto), “spese di mancie e donativi”. Così come non potevano mancare spese per servitori nella vita quotidiana di un giovane canonico che avrebbe concluso la sua carriera come vicario generale, prima, della curia fiesolana (1730-1735) e, poi, di quella fiorentina (1735-1739).

Inoltre erano segnate le “distribuzioni corali”, legate ai redditi comuni provenienti dal patrimonio unitario del collegio capitolare, a varie compagnie religiose fiorentine, e le registrazioni delle uffiziature e delle spese di sacrestia per la cappella di cui godeva il beneficio.  Emergono inoltre i nomi degli artigiani e commercianti di cui si serviva: sarti, ricamatori, falegnami, argentieri, librai. Altri conti sono aperti ai fratelli, il capitano Luigi, che in quel periodo risulta a Livorno, e all’abate Filippo Maria (1680-1722): per lui, pievano a Monteripaldi, riceveva le quote della colletta ecclesiastica spettanti a Filippo sopra l’entrata del suo beneficio, e pagava i Padri agostiniani dell’antica chiesa fiorentina di S. Stefano a Ponte per le uffiziature annuali della cappella di S. Andrea posta nella chiesa - di cui il fratello godeva il beneficio - e per le messe cantate ufficiate annualmente per il giorno della festa del santo. Inoltre saldava nel gennaio 1710 un conto per ‘medicamenti’ era rimasto da pagare presso una spezieria di Barga, lasciato in sospeso dal padre Antonino, quando era governatore di tale enclave fiorentina in Lunigiana.

In alcune carte del manoscritto Domenico fa riferimento a conti segnati in un altro registro: un “nuovo libro ricordi segnato B” che avrebbe dovuto costituire la prosecuzione dei conti che appaiono nel registro A. La ricerca del secondo volume esula da questa descrizione, ma resta la curiosità di ritrovare tra le carte dell'archivio Bardi e in altre fonti archivistiche come l’importante archivio capitolare della Cattedrale di S. Maria del Fiore tracce del canonico Domenico: la ricchezza del patrimonio archivistico fiorentino, pubblico e privato, è tale che può permettere di ricostruire, quasi a tutto tondo, figure minori come il protagonista di questa scheda.

Il testo di questo contributo ripropone la scheda pubblicata nel catalogo della mostra Arno fonte di prosperità fonte di distruzione. Storia del fiume e del territorio nelle carte d'archivio, mostra per il 50° anniversario dell'alluvione di Firenze (1966-2016), Polistampa, Firenze 2016, pp. 285-286

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