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La vetrina dei segreti

A cura di Barbara Grazzini

Il buio oltre il tunnel. La "Galleria Rifredi"

L'imbocco della galleria da via Montelatici

Questi documenti sono conservati presso l'Archivio Storico del Comune di Firenze

L'apertura del nuovo tratto della linea T1 della tramvia fiorentina fino a Careggi ci offre un curioso sguardo sul passato. Una volta arrivati alla fermata Leopoldo, volgendo lo sguardo verso il colle di Montughi non si può fare a meno di notare, in fondo a via Ubaldo Montelatici, un cancello che delimita qualcosa di insolito. “Galleria Rifredi”, si legge sulla costola in pergamena dell'unità CF 7833 conservata presso l'Archivio storico del Comune di Firenze.

Dalla relazione allegata al progetto per la costruzione della galleria si apprende che essa fu “decisa dall'Amministrazione comunale di Firenze per il ricovero di buona parte degli abitanti di quel quartiere della città durante le incursioni aeree nemiche”, cercando anche di “rendere l'opera opportunamente utilizzabile per il dopoguerra”. Già nel marzo del 1943 si sentiva infatti l'esigenza di una nuova arteria stradale che permettesse un rapido collegamento dal centro della città alla zona ospedaliera e universitaria di Careggi, dove erano state trasferite molte attività sanitarie dell'ospedale di Santa Maria Nuova. La nuova arteria avrebbe inoltre risolto il problema delle comunicazioni con le zone di Sesto Fiorentino e di Castello, accresciutesi in seguito allo sviluppo delle numerose fabbriche esistenti e del complesso del quartiere industriale della città, superando così la strozzatura in via Reginaldo Giuliani presso piazza Dalmazia.

La collina di Montughi fu considerata idonea alla costruzione di una galleria stradale a doppio imbocco di 4000 mq, che avrebbe potuto contenere dalle 16000 alle 20000 persone e sarebbe stata dotata di marciapiedi pedonali e otto “gabinetti di decenza”, provvisti di acqua potabile e fossa biologica. L'imbocco a sud della galleria, previsto nel quartiere del Romito, è stato realizzato in via Montelatici, mentre lo sbocco a nord fu previsto nel quartiere di Rifredi presso via Taddeo Alderotti, in corrispondenza di via Guido Banti.

L'appalto per i lavori venne affidato all'impresa Allegri di Roma, e già dai primi mesi della costruzione durante gli allarmi aerei, come si legge nella fitta corrispondenza fra l'impresa e gli uffici tecnici del comune, il pubblico si riversava nella galleria provocando continui incidenti “con grave pericolo per la pubblica incolumità e per la vita degli operai”.

I lavori vennero sospesi il 1 agosto del 1944 a causa della situazione bellica che impediva l'approvvigionamento dei materiali e l'afflusso degli operai. Nelle settimane successive le truppe tedesche causarono gravi danni al tunnel, in particolare un franamento di una parte della volta a circa 60 metri dall'imbocco. Per motivi di ordine pubblico dopo la fine delle ostilità si ritenne necessario chiudere la galleria, completare le opere sospese nei riguardi delle proprietà confinanti, e ricostruire i manufatti franati in seguito alle esplosioni di mine.

Non sappiamo per quanti metri furono portati avanti i lavori e a quale profondità arrivò il tunnel; certo è che se nel settembre del 1944 il superiore dei Cappuccini di Montughi rese noto al sindaco che per il crollo della galleria i padri avevano subito un danno rilevante per il franamento di 56 metri di muro di cinta, l'avvallamento del terreno e il “travolgimento” di alberi boschivi e fruttiferi del loro orto, gli scavi dovevano essere arrivati ben oltre la via Vittorio Emanuele II, dove, fra l'altro, in corrispondenza della galleria, è visibile una grata che chiude un condotto di aerazione.

La storia che è arrivata ai nostri giorni racconta che il tunnel misterioso avrebbe dovuto avere la sua uscita alle pendici della collina di Fiesole. Non risultano tuttavia documenti che possano dimostrare la veridicità di tale progetto, peraltro di portata colossale.

La nostra ipotesi è che la fantasia popolare abbia immaginato un unico tunnel unendo idealmente due diverse gallerie, iniziate nello stesso anno e mai portate a termine: quella di via Ubaldo Montelatici e quella di via Giovanni Aldini, presso il viale Alessandro Volta. Quest'ultima, il cui ingresso è  visibile sebbene si trovi all'interno di un'area delimitata da un cancello, fu iniziata nel luglio del 1943, e la sua uscita fu prevista in via Dino Compagni all'incrocio con via della Piazzuola. Un collegamento fra le zone di San Gervasio e delle Cure era stato ritenuto necessario a causa della vicinanza della stazione del Campo di Marte, obiettivo facilmente identificabile e sensibile per la possibilità di interrompere il traffico della linea Bologna – Roma. Nella relazione allegata al progetto si aggiunge che “ove si volesse con pericoloso ottimismo, presumere nel nemico un qualche riguardo per i tesori artistici fiorentini, tutte le zone citate sono di moderna costruzione e non hanno il benché minimo edificio di qualche pregio artistico o storico”.
Le due gallerie ci guardano, e ci raccontano piccoli mattoni di una storia che non è poi così lontana.

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