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Quando a Livorno c'era il colera

A cura di Monica Moschei, marzo 2015

L'intervento di Ivo Bandi

Il prof. Ivo Bandi
Soprintendente dell'Ufficio di Igiene

Per contenere l’epidemia furono adottati provvedimenti immediati; l’Ufficio di Igiene fu incaricato di  effettuare  gli esami clinici delle feci dei malati ricoverati presso l’ospedale, ed in presenza del contagio di provvedere al loro isolamento e ricovero presso il Lazzaretto di Collinaia,  mentre i loro familiari  dovevano essere ricoverati nei locali di contumacia di Coteto e di Villa Mugnai. La contumacia era una misura sanitaria di isolamento che prevedeva l'obbligo di permanere in ospedale o nella propria casa per un certo periodo la cui durata veniva stabilita dalle autorità sanitarie. Tale misura veniva applicata in seguito all'esposizione ad una malattia grave, contagiosa e rara nel territorio in cui si applicava il provvedimento.

Contemporaneamente l’Ufficio Sanitario adottava tutte le misure generali di profilassi atte a reprimere l’estensione del contagio, quali disinfezione delle abitazioni, chiusura dei pozzi, aumento della vigilanza annonaria, esame giornaliero dell’acqua potabile e riconferma di tutte le ordinanze emesse per la tutela della salute pubblica in occasione della precedente epidemia colerica del 1893.
È in questi giorni di massima espansione del contagio che Ivo Bandi viene nominato dal Sindaco, Cav. Giovanni Targioni Tozzetti, Soprintendente dell’Ufficio di Igiene. Bandi, medico italiano (Tagliacozzo 1867 - Napoli 1926), figlio di Giuseppe, si era occupato prevalentemente di igiene e microbiologia. Nel 1901 impiantò l'Istituto Pasteur a Rio de Janeiro; nel 1904, insieme ad A. Sclavo, fondò a Siena l'Istituto sieroterapico e vaccinogeno toscano e nel 1914, a Napoli, l'Istituto siero vaccino terapico italiano. Insegnò anche igiene e medicina coloniale nell'Istituto Orientale di Napoli e propose un metodo rapido per la sierodiagnosi del colera.

Nella sua analisi il Bandi prende atto dell’estrema gravità della situazione. Nel sottosuolo della città si spandono, per la maggior parte, i rifiuti domestici e dove si disperde una considerevole parte delle materie fecali (cfr. C.L.A.S., Relazione prof. Dott. Ivo Bandi, pag. 4). In questo sottosuolo così inquinato era collocato l’acquedotto della città  per cui, come era stato già rilevato nel quartiere la Venezia nella precedente epidemia dell’anno 1893, l’acqua potabile poteva essere facilmente infettata dal vibrione colerico.
Il primo intervento deciso dall’Amministrazione riguardò il rifornimento idrico della città (Livorno nella stagione estiva aveva una cronica e ricorrente carenza di acqua potabile); fu incrementata l’importazione di acqua potabile da località extraurbane e fu attivata la distribuzione di acqua bollita alla popolazione in alcuni luoghi della città tra cui il Municipio, il Pubblico Mercato, gli stabilimenti Pancaldi e furono eseguite analisi cliniche quotidiane dell’acqua distribuita dall’acquedotto cittadino.